Nessuna celebrazione in Sud Sudan per il quinto anniversario dell’indipendenza dello Stato più giovane del mondo, ma una carneficina tra fazioni che non riescono a convivere. Oltre 110 morti, secondo alcune fonti almeno 150, sono il bilancio degli scontri, ieri notte, tra le forze fedeli al presidente salva Kiir e quelle che appoggiano il primo vicepresidente Riek Machar e che sono una nuova violazione del fragile accordo di pace firmato nell’agosto dell’anno scorso dopo due anni di scontri.
La conta dei cadaveri trasportati all’obitorio del Teaching Hospital di Juba è difficile perché, ha detto un medico che è voluto rimanere anonimo per ragioni di sicurezza, i soldati hanno impedito ai medici di esaminare i corpi. secondo un altro medico la maggioranza sono cadaveri di soldati.
Gli scontri sono iniziati in nottata nei pressi del palazzo presidenziale dove Machar e Kiir – scrive Liberation – preparavano un comunicato comune su altri incidenti avvenuti il giorno precedente. Oggi nella capitale non si è sparato, ma la tensione rimane alta e la gente è rimasta chiusa in casa. E se ufficialmente i mancati festeggiamenti per l’anniversario dell’indipendenza dal Sud sono stati giustificati con mancanza di fondi, è chiaro che a decidere è stata in realtà la paura.
Gli scontri tra le opposte fazioni sono costati in due anni e mezzo decine di migliaia di morti e hanno provocato una grave crisi umanitaria in un Paese già poverissimo nonostante le ingenti riserve petrolifere.
Nel quadro dell’accordo di pace di aprile, Machar è tornato a Juba come vice presidente nell’ambito di un governo di unità nazionale che non è riuscito a portare stabilità e sicurezza.
“L’ Italia chiede di far tacere le armi” scrive in un tweet il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni sottolineando che l’Unità di crisi della Farnesina è “in contatto con i nostri connazionali” presenti nel Paese africano
Fonte Ansa
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