Le critiche e la rabbia post-partita, del tutto immotivata, verso l’arbitro Mazzoleni e i “buuu” urlati contro Koulibaly (con annessi cori a favore del Vesuvio) durante tutta la partita. Sono queste le due immagini lasciate da Inter-Napoli giocata ieri sera a San Siro. Non un gol, non una giocata. Neanche il fatto che ieri fosse il primo boxing day della storia della Serie A. Solo vittimismo e razzismo. Quella di ieri, è l’ennesima occasione persa dal calcio italiano.
Partiamo dalle critiche all’operato del fischietto di Bergamo. Le (evitabilissime) dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Napoli dopo la sua designazione, hanno sicuramente messo pressione su Mazzoleni che però, al netto di qualche piccola indecisione, ieri sera ha sfoderato una delle migliori prestazioni degli ultimi tempi, gestendo al meglio anche la complicata situazione degli ultimi minuti. Giusto il rosso a Koulibaly (autore di una prova magistrale fino a quel momento): il fallo su Politano non è nulla di clamoroso, ci può stare fischiarlo e, se rilevato, il giallo è praticamente automatico. Quello che invece non ci sta per nessuna ragione, è l’applauso irrisorio del difensore senegalese (e il fatto di essere stato punzecchiato tutta la partita dai tifosi avversari non è nemmeno annoverabile tra i possibili alibi). Corretto anche il rosso dato a Insigne a fine partita: va riconosciuto che Keita è furbo a “provocare” l’azzurro, sfiorandogli anche l’orecchio, ma la reazione del furetto di Frattamaggiore è scellerata e, probabilmente, figlia di una gara giocata in modo tutt’altro che positivo dal 24 azzurro. Detto ciò e analizzati gli episodi più dubbi, viene naturale quindi chiedersi “da cosa derivano le critiche e la rabbia verso Mazzoleni? Perché dare a lui la colpa della sconfitta di ieri sera?”. Questo, purtroppo, è un atteggiamento tutto napoletano (ma sostanzialmente anche di tutti gli italiani): quando le cose vanno male, si tende subito a cercare un capro espiatorio al quale dare la colpa, qualcuno o qualcosa verso il quale sfogare la propria rabbia e frustrazione per l’insuccesso. Si fa questo perché è più semplice ed “economico”. Fare auto-critica e analizzare la propria prestazione invece costa energie e mette in dubbio il proprio operato e i propri pensieri (e a nessuno piace essere messo in discussione). Nello sport invece, ma anche nella vita di tutti i giorni, bisognerebbe mettere un po da parte il vittimismo, a vantaggio di una sana riflessione e valutazione oggettiva dei fatti accaduti. Smettiamola di cercare il colpevole in casa altrui ma iniziamo a cercarlo in casa nostra.
Veniamo quindi alla seconda fotografia della serata milanese: il razzismo nei confronti di Koulibaly e i (soliti) cori che invocano il risveglio del Vesuvio. Di questi tempi, nel nostro Paese, il fenomeno negativo del razzismo e quasi sempre all’ordine del giorno. Quello di ieri però non è razzismo in senso stretto: è pura e semplice ignoranza, mancanza di cultura. Come si può insultare un giocatore della squadra avversaria per il colore della sua pelle e, allo stesso tempo, esaltarne uno di colore della propria e che, guarda caso, risulta essere il migliore in campo? Questo non è razzismo, è ignoranza. I cori pro-Vesuvio poi sono incommentabili e stupidi: come si può chiedere l’eruzione di un vulcano quando, poche ora prima, in tv, passavano le immagini delle persone sfollate a Catania e provincia a causa dell’Etna e dei suoi terremoti? La cosa buffa poi è che le stesse persone che inneggiano a fuoco e distruzione, sono le stesse che sui social fanno i leoni da tastiera, fingendo compassione e vicinanza alle sfortunate vittime quando accade una tragedia. Questo non è razzismo, è ignoranza. In questo Paese non manca solo la cultura sportiva, ma manca la cultura in generale e questa mancanza genera assenza di rispetto verso il prossimo e il suo operato. Questo non è un Paese razzista, è un Paese egoista e ignorante e il calcio fa, purtroppo, da cassa di risonanza di questa condizione.
Vittimismo e pseudo-razzismo: due facce della stessa triste medaglia. Una medaglia che è sempre più arrugginita e che rispecchia, sempre di più, il baratro nel quale questo Paese sta cadendo senza (forse) neanche rendersene conto.
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