Stadio Olimpico di Roma, minuto 63′ della partita tra Italia e Nuova Zelanda: come da pronostico, i campioni del mondo degli All Blacks stanno strapazzando la nazionale azzurra e il tabellone recita 3-52 per gli ospiti. Dagli spalti, invece dei soliti fischi a cui siamo abituati assistendo alle partite di calcio (per rendere meglio l’idea, un punteggio simile è come uno 0-6 nel calcio a metà secondo tempo) si alza, con grande entusiasmo, il coro “Fratelli d’Italia, l’Italia se desta!”. A questo, fino all’ultimo minuto di gioco, nonostante la Nuova Zelanda continui a marcare punti, seguono altre canzoni intonate da tutto lo stadio e al fischio finale, gli applausi per le due squadre sono scroscianti e convinti.
Per tutti gli 80′ e oltre minuti di gioco, dalle tribune, non si è alzato un solo fischio, non c’è stato un singolo insulto per gli avversari, per non parlare del silenzio assoluto fatto per rispettare il kicker avversario che si apprestava a trasformare la meta.
Eppure, appena una settimana fa, a San Siro, si è giocata Italia – Portogallo, ultima partita della prima fase della UEFA Nations League e le scene sono state ben diverse: sonori fischi e insulti a Bonucci a causa del suo recente trascorso al Milan, urlo “mer*a” ad ogni rinvio dal fondo del portiere avversario, tribune che si svuotano con largo anticipo a causa del risultato e pochissimi applausi a fine gara per una Nazionale che aveva fatto di tutto per portare a casa la vittoria fino all’ultimo secondo.
Milano e Roma, calcio e rugby, due facce diametralmente opposte della stessa medaglia: qual’è quella vera? Qual’è la faccia che rappresenta il tifoso, anzi lo sportivo italiano?
La risposta, così come la verità, probabilmente è nel mezzo. Noi italiani, soprattutto al Sud, viviamo il calcio in modo totalmente diverso rispetto a tutti gli altri appassionati del globo (più “estremi” di noi forse sono solo i Sudamericani a causa del sangue latino che scorre nelle loro vene). In Italia il calcio, senza voler essere blasfemi, è quasi una questione di fede e di vita: si va allo stadio per combattere una metaforica guerra contro l’avversario che deve essere a tutti i costi fermato e rispedito a casa con le pive nel sacco. Insomma, l’evento in sé della partita di calcio, si trasforma in una battaglia senza esclusione di colpi. Le partite di rugby, vuoi anche per i grandi valori morali ed etici trasmessi in campo dalle squadre, invece sono tutt’altra cosa e lo si capisce sin dall’arrivo allo stadio. I tifosi mangiano, bevono e cantano tutti insieme prima del fischio d’inizio, dentro lo stadio non si avverte quella tensione e quella “sensazione di battaglia” tipica delle partite di calcio ma si respira voglia di divertirsi, stare insieme, godersi lo spettacolo. Poco importa il risultato, l’importante è trascorrere qualche ora in modo spensierato e leggero.
Spesso si legge che in Italia manca la cultura sportiva ma non è proprio così ed eventi come quello di ieri confermano questa tesi. In Italia manca la sana cultura sportiva, quella che vede lo sport non come un evento in cui conta solamente battere l’avversario e portare a casa il risultato, ma quella che considera lo sport come un’attività di aggregazione sociale, ricreativa, divertente, promotrice di salute e vettore di sani valori e principi.
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