Stiamo scrivendo la storia. Dopo l’avvento della seconda Guerra Mondiale che ha avuto luogo dal 1939 (per l’Italia dal 1940) fino al 1945, a distanza di 75 anni da quel periodo ci ritroviamo a dover affrontare un nuovo ciclo complesso, dove stavolta il nemico è silenzioso ed invisibile.
Tutto è iniziato lo scorso gennaio , mentre tutti erano impegnati nel rincorrere i propri impegni, in Cina un virus si stava sviluppando in maniera talmente veloce da preoccupare medici e politici. Questo virus identificato e denominato Coronavirus, ha iniziato col diffondersi rapidamente in tutto il territorio cinese e pian piano anche nel resto del mondo fino a raggiungere il territorio italiano. Dopo la conferma dei primi casi in Lombardia e Veneto, la gente, da nord a sud, sopraffatta dal panico ha iniziato a svaligiare interi supermercati alla ricerca di prodotti capaci di proteggerli. Atteggiamento certamente eccessivo e influenzato dalla paura di poter contrarre il Coronavirus che tanto spaventava.
Accade poi che numerose trasmissioni trasmettono servizi nei quali si sottolinea di come questo virus in realtà non fosse così letale come si immaginava, al punto da esser spesso paragonato ad una influenza, specificando: “ ricordiamo a casa che non stiamo lottando contro la peste”; frase che confonde e porta tanti cittadini a non prendere più sul serio quanto stava accadendo. Dalla paura si passa alla leggerezza ed ogni cosa procede normalmente, fino a quando la situazione non precipita e i casi aumentano vertiginosamente.
A quel punto il sentimento della paura ritorna prepotentemente. Le stesse trasmissioni televisive con la presenza di “esperti” che prima, minimizzavano il problema, diventano le prime ad evidenziare la gravità della situazione, mandando in onda servizi che raccontano di persone costrette alla terapia intensiva con la consapevolezza che non si trattasse di una semplice influenza ma un qualcosa di più pericoloso ed incisivo, soprattutto per le persone più fragili.
Più i giorni passano e più i casi aumentano e più gli ospedali si affollano. Il nord Italia è il territorio più colpito e a quel punto interviene il governo enunciando lo stato di emergenza per molte regioni del nord, notizia che anziché chiudere in uno spazio ben definito il virus, lo espande più velocemente: numerosi cittadini italiani originari del sud in preda al panico affollano i treni per sfuggire al contagio e raggiungere la propria città d’origine. Dopo un paio di giorni il governo annuncia che l’Italia intera è in stato d’emergenza mettendo tutti in quarantena con l’intero territorio in zona rossa.
Ed eccoci che ci ritroviamo ad oggi: strade più silenziose, bar e ristoranti chiusi, attività commerciali chiuse, gente rinchiusa in casa e paura per il futuro. Un vero è proprio scenario da guerra, solo che stavolta il nemico non è alcuno Stato bensì un qualcosa che si insita dentro di noi con una tale facilità da cambiare da un giorno ad un altro la nostra vita.
Viviamo una condizione paradossale che nessuno molto probabilmente aveva mai immaginato di poter vivere. Certo è che stiamo scrivendo la storia dell’umanità, un’umanità sempre più ricca ma allo stesso tempo sempre più povera. Sì, perché questo momento dovrebbe farci riflettere sulle nostre azioni. Perché si è arrivati a questa situazione così estrema? Perché viviamo in un tempo senza tempo, come se tutto fosse fermo ma dove in realtà tutto va avanti? I giorni passano, i mesi passano, eppure noi siamo obbligati a rinchiuderci in quattro mura a parlare attraverso uno schermo o un balcone. Le relazioni, strumento essenziale per la nostra specie, vengono compromesse: niente abbracci, niente carezze, baci, strette di mano. Nessuno si fida dell’altro e tutti abbiamo paura del prossimo. Ci guardiamo come se fossimo tutti alieni dai quali stare alla larga per non infettarci, per non stare male.
Una situazione del genere probabilmente non si è mai verificata in questa dimensione così ampia. Si, il medioevo è stato segnato dalla peste e dalle peste nera, anche lì una pandemia ed anche in quel caso numerosi morti. Ma come accennato in precedenza, molti hanno sottolineato che il Coronavirus non è la peste, espressione che implicitamente indica di come quest’ultima sia stata molto più pericolosa e letale. Bene, ma chi ci dice che il Coronavirus non sia lo stesso? Attenzione quando dico ciò non intendo paragonare le due malattie ma dire semplicemente che un virus non deve essere per forza letale per creare difficoltà. Inoltre quando si parla di peste si fa riferimento ad un tempo storico molto antico rispetto ad oggi, per questo come si può paragonare un qualcosa di vecchio con un qualcosa di nuovo che nemmeno si conosce nel profondo. La letalità di questo virus non è la morte ma il suo essere invisibile e la sua capacità di contagiare nell’immediato un numero vasto di persone che a loro volta contagiano altri e così via.
Secondo voi perché siamo arrivati a questo punto? Sfortuna? No, non credo.
Evidentemente abbiamo oltrepassato la linea dell’equilibrio. Questo è il momento di pensare a tutte le cose che stiamo facendo, riflettere sugli errori che abbiamo commesso e cercare di non ripeterli.
Questa pagina di storia molto probabilmente ci segnerà, ci cambierà. Quando tutto ritornerà alla normalità faremo i conti con un altro mondo; un mondo ferito e senza forze. Ma che ci serva di lezione questo periodo per farci capire che dobbiamo cambiare rotta; cambiare le nostre abitudini e i nostri pensieri, perché potremmo anche sconfiggere il Coronavirus ma nessuno ci garantisce che non uscirà un nuovo virus ancora più complicato nel prossimo futuro.
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