Quella all’arbitro Riccardo Bernardini della sezione di Ciampino, è stata la 51esima aggressione subita da un direttore di gara nella stagione 2018/19. Considerando che la stagione agonistica è iniziata sostanzialmente da circa tre mesi, il dato è tutt’altro che trascurabile. Se a questo, si aggiungono i dati delle aggressioni subite nelle due precedenti stagioni, quello che viene fuori è uno scenario a dir poco preoccupante: sono più di 900 infatti (73 aggressioni nella stagione 2016/2017 mentre sono 451 in quella 2017/2018), gli episodio di violenza verificatisi sui campi di calcio di tutto il Paese. Le violenze si sono consumate principalmente nelle regioni del centro-sud Italia (Calabria, Campania, Lazio e Sicilia su tutte), unica eccezione da è l’Emilia-Romagna che fa registrare circa 40 aggressioni nelle ultime due stagioni. Quasi sempre, gli arbitri o gli assistenti aggrediti, sono molto giovani e tante delle violenze, sono avvenute durante o al termine di partite di calcio giovanile o di campionati di basso rank.
Per provare a dare una spiegazione a questo surreale fenomeno da incubo, si è attribuita la colpa a una passione smisurata, anzi malata di pochi scalmanati che si recano, ogni domenica, sui campi da calcio di provincia solamente per sfogare le proprie frustrazioni e la propria rabbia repressa durante tutta la settimana.
Inutile negarlo: noi italiani combattiamo guerre come se fossero partite di calcio e giochiamo partite di calcio come se fossero guerre e questo genera, come tutti gli estremismi, danni e fatti spiacevoli. Se l’estremismo in questione poi. riguarda uno sport popolare e aperto a tutti come il calcio, ritrovarsi pseudo-tifosi esauriti sulle tribune e pronti a tutto pur di “difendere” i colori della propria squadra, è praticamente inevitabile.
Ma siamo sicuri che il motivo sia veramente solo questo? Basterebbe davvero tenere fuori questi personaggi dagli stadi per risolvere il problema? Probabilmente, anzi quasi sicuramente, no. La risposta è negativa perché, questi episodi di ingiustificata e vile violenza non avvengono solamente per colpa della passione malata di pochi individui. Il problema è ben più grande e ha ben più di una causa.
Quali sono queste cause o presunti tali? Proviamo a trovarle facendo un’analisi più ampia e approfondita di questi tristi episodi.
La prima cosa che viene fuori è che, quasi tutti i suddetti fenomeni, avvengono come detto, su campi di provincia: questi stadi, versano spesso in condizioni a dir poco disastrose, o addirittura, non presentano tutte le dovute misure di sicurezza obbligatorie e richieste per l’omologazione della struttura (ad esempio: totale separazione tra spogliatoi/campo da gioco e tifosi, settori diversi e separati per tifosi di casa e tifosi ospiti, distanza di sicurezza tra campo da gioco e barriere e così via) e per l’iscrizione ai campionati FIGC. Stranamente però, salvo rari casi, tutti questi campi vengono tranquillamente ritenuti a norma. Com’è possibile questa cosa? Per quale motivo non ci sono rigorosi controlli su queste cose? La risposta a queste domande è che, probabilmente, vista la critica condizione della maggior parte degli impianti del nostro Paese (soprattutto quelli di provincia), se si facessero rispettare tutte le norme, tantissimi campi, salvo costosi adeguamenti, dovrebbero essere chiusi, rendendo quindi impossibile la disputa di un numero elevatissimo di gare (e ovviamente questo non conviene alla FIGC in primis, ma neanche alle tantissime società sparse sul territorio che sarebbero costrette a cessare le loro attività). Attenzione, questo non significa che con una struttura ad hoc questi fenomeni non avvengono, però se si rende possibile l’ingresso a tifosi nella zona antistante gli spogliatoi, o se si dà l’autorizzazione a giocare su campi palesemente non a norma…
L’articolo 62, ai commi 4 e 5 N.O.I.F (norme organizzative interne) della FIGC, recita: “le società, in occasione delle gare programmate sui propri campi di giuoco, debbono tempestivamente inoltrare richiesta alla competente autorità perché renda disponibile la forza pubblica in misura adeguata. L’assenza o l’insufficienza della forza pubblica anche se non imputabile alle società, impone alle stesse l’adozione di altre adeguate misure di sicurezza, conformi alle disposizioni emanate dalla Lega o dal Settore di competenza. L’arbitro, ove rilevi la completa assenza di responsabili al mantenimento dell’ordine pubblico, può non dare inizio alla gara“. Tutto giusto no? E’ una cosa abbastanza scontata che, ad un evento pubblico come una partita di calcio, sia richiesta la presenza della forza pubblica, quindi dov’è il problema? Il problema è che, nonostante la società ospitante faccia, nei giorni che precedono la partita, effettiva richiesta di forza pubblica, puntualmente sui campi da gioco, non si presenta nessuna forza dell’ordine. Nonostante questo però, nella maggior parte dei casi, il direttore di gara si limita a “mettere agli atti” la copia della richiesta della forza pubblica (evitando una multa alla squadra ospitante) e dare ugualmente inizio alla gara. Precisiamo: nelle grandi città come Roma, Napoli e compagnia bella, presiedere su ogni campo da gioco, risulta molto difficile per le varie forze dell’ordine ma se è stata creata questa norma dalla FIGC un motivo ci sarà. Pertanto, sarebbe utile distribuire meglio tutte le partite da disputare in un giorno per facilitare la presenza di polizia, carabinieri ecc., richiamando anche gli arbitri a fare più attenzione alla presenza effettiva della forza pubblica sui campi da gioco e a non “avere paura” di non far iniziare una partita se questa manca.
La terza e ultima causa di queste violenze è la scarsa cultura sportiva del nostro Paese. In Italia, lo sport è ancora visto quasi come un semplice hobby, un’attività da fare dopo la scuola o il lavoro, un qualcosa di secondo piano. Solo negli ultimi anni, si sta, fortunatamente, iniziando a promuovere lo sport come pratica da attuare per migliorare il proprio stato di salute e/o prevenire malattie cronico-degenerative come il diabete o l’ipertensione (malattie che hanno un elevato impatto economico negativo sul bilancio del Sistema Sanitario Nazionale). Siamo però ancora lontani anni luce da ciò che avviene in altri Stati dell’Unione Europea, per non parlare degli Stati Uniti dove lo sport va praticamente di pari passo con l’istruzione sin dalla tenera età. Non sarebbe quindi il caso di iniziare, finalmente, a introdurre lo sport e l’insegnamento della cultura sportiva nelle nostre scuole? Così facendo, si farebbe capire, soprattutto ai più piccoli, che lo sport non è guerra o una battaglia nella quale tutto è lecito ma è un mondo meraviglioso ricco di storie, personaggi, valori e sani principi da adottare. Così facendo, si inizierebbe a creare una generazione “sportiva” e che comprende il reale significato dello sport e della competizione. E per quelli che sono già adulti? Per questi, gli unici interventi possibili e immediatamente applicabili (o quasi), sono due: pene severe e certe per coloro che commettono fatti di violenza negli stadi e obbligare i media a fare comunicazione corretta e con “toni più bassi” in quanto questi, molto spesso, per vendere qualche copia in più o fare qualche punto in più di share, “pompano” in modo eccessivo una partita, facendo quindi salire la tensione dei tifosi già diversi giorni prima del matchday.
In Italia, soprattutto in questo periodo storico, si tende spesso a generalizzare e banalizzare le cose, a maggior ragione quando riguardano lo sport o il calcio che ormai è, nell’immagine comune, uno sport non più adatto alle famiglie. Forse però, è arrivato il momento di aprire gli occhi, di analizzare le cose in modo completo e sotto più punti di vista, di fare mea culpa e far tornare il calcio uno sport alle quali tutti, grandi e piccoli, possono assistere in piena tranquillità e serenità.
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